La semplificazione del “Mi piace”

Con l'aumentare dei pulsanti, aumenta la pigrizia di pensiero. Le conseguenze? Sempre meno idee, ma con molte più condivisioni.

Fra le varie semplificazioni del web, ce n'è una che non sembra così ovvia. È quella che riguarda le nostre operazioni quando ci troviamo di fronte al computer e che, con slogan felice, è stata chiamata l'esercito del like.
Col tempo, le tecnologie su internet sono migliorate tantissimo e consentono un coinvolgimento sempre maggiore. La cosiddetta interattività fa da padrona nei social network, dove spesso e volentieri basta un click sul “Mi piace” per confermare o meno la nostra partecipazione ad una discussione. Apparentemente è un buon sistema per tutti: per chi pubblica, perché è in grado di quantificare nell'immediato quanto “amici” gradiscono quel contenuto; per chi legge perché il click richiede un minimo sforzo ed assicura la propria presenza nella comunità virtuale.

Anzi, è talmente utile questa funzione che le pagine di Facebook o di Twitter sono classificate e quotate in base a queste semplici operazioni. C'è tutto un sottobosco, persino, che ruba o utilizza i “like” per ottenere informazioni su di noi.

Di certo, questo non poteva passare inosservato ai programmatori. Nella ricerca di sempre maggiori consensi e per aumentare il gradimento delle proprie creazioni, già da tempo gli esperti del marketing dei social stanno pensando di aumentare il numero di tasti, bottoncini, pulsanti da cliccare.

C'è dunque una riflessione da fare. Il pulsante è di sicuro molto comodo, ma ha dei limiti enormi. Come forma di linguaggio corrisponde ad un “acceso/spento” e... basta. Le modalità espressive sono del tutto ridotte. La complessità del pensiero umano è limitata ad un semplice tasto, dove peraltro non è nemmeno presente il contrario, il rifiuto. Tutto questo, secondo alcuni, si tradurrà non in nuove possibilità mediatiche, ma in una diminuzione delle possibilità linguistiche. Dato che la tecnologia non è neutra, e il modo di interagire con essa cambia anche il nostro modo di pensare, è facile intuire che i social, con l'aumentare dei pulsanti, aiuteranno la pigrizia di pensiero di ciascuno. Sempre meno idee, ma con molte più condivisioni.

Forse molti l'avranno notato, ma da tempo c'è una replicazione di contenuti sui social, quasi soffocante. Appena parte un nuovo ritornello, tutti in massa tendono a ripeterlo, magari con la convinzione di essere originali. Da “esseri pensanti” ci stiamo trasformando in “essere (un) pulsante”, un oggetto manipolabile a cui piace/non piace una cosa.

Il tutto assomiglia alla famosa neolingua di Orwell, quella del Grande Fratello. Una lingua che non cresce, ma che ogni anno perde decine, centinaia di parole. Perché? Per semplificare, per ridurre le possibilità di pensare, per trasformare le persone in oggetti da governare. O in consumatori facili da convincere. Semplificare può fare molto male, soprattutto quando viene presentato come una comodità enorme.
Occhio alla manipolazione, dunque. Gli strumenti vanno utilizzati, ma non mai bisogna farsi usare da loro.

Ultimo aggiornamento (Venerdì 27 Aprile 2012 08:58)

 
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