"Educare uomini liberi": gli atti del corso di formazione tenuto a Salerno dall'Aiart

Segnaliamo la pubblicazione degli atti dell'interessante Corso nazionale di formazione promosso dall'Aiart (Associazione spettatori Onlus) sul tema: "Educare uomini liberi - Dalla consapevolezza dei rischi una nuova passione educativa", tenuto a Salerno dal 13 al 15 maggio scorso.
La tregiorni, finalizzata a comprendere i rischi della nuova “cultura digitale” e le opportunità che si aprono per chi vuol mantenere il ruolo di educatore, ha proposto interessanti momenti di dibattito e riflessione sull’urgenza di iniziative concrete per arginare il ruolo debordante dei media nella società, nella famiglia e nella nostra identità.

 

Alcuni spunti interessanti, dal sito www.aiart.org:

 

“La significativa valenza che assumono i media in termini educativi, deve essere tenuta in considerazione dai genitori, dagli organismi e dalle associazioni cattoliche, al fine di tutelarne l’uso da parte dei minori” ha affermato Francesco Bellaroto del Comitato di presidenza nazionale dell’Aiart, in apertura dei lavori.

Puntare l’attenzione sui rischi delle “distorsioni” operate dai mezzi comunicazione, che fin troppo spesso mettono in discussione i valori e i principi inculcati dalla famiglia e dalla scuola, è importante per spronare gli adulti a preservare i propri figli dai pericoli di una concezione della vita abilmente “mediata” dai grandi network televisivi.
“Il tema dell’educazione infatti - come ha ammesso nella sua introduzione il vice presidente nazionale dell’Aiart Giovanni Baggio, direttore del Corso di formazione - è da una parte affascinante e dall’altra preoccupante, poiché stimolare la ricerca di soluzioni valide in questo senso comporta un carico di responsabilità notevole e non sempre ben percepito. La media education è il canale con il quale e nel quale è necessario confluire se si vuole educare e formare i giovani all’uso di tutti i mezzi di comunicazione”. Oggi il semplice possesso di strumenti della tecnologia, di per sé, non abilita gli utenti ad un uso sano ed intelligente ma anzi diventa sempre più importante, per tutti, utilizzare i media da uomini liberi. Nella nostra contemporaneità – afferma Baggio – è necessario mettere in gioco alcune questioni relative innanzitutto alle modifiche antropologiche apportate dalla tecnologia e che ci fanno capire meglio l’entità delle problematiche che stiamo affrontando. Chi ha il compito di educatore a scuola o in famiglia lo percepisce: si sente nell’aria, la frenesia dei ragazzi che non riescono più ad avere un minuto di concentrazione lontano dagli schermi dei computer o dei telefono cellulari. Questo fenomeno è significativo di una modifica non solamente di tipo comportamentale ma in tutti i sensi antropologica, poiché si è ormai modificato il modo di interagire fra gli individui. La media education, dunque, serve per interrogarci sugli strumenti, sul senso della comunicazione come fatto umano insopprimibile ed insieme inesauribile nella molteplicità dei suoi strumenti. I percorsi educativi fin qui intrapresi ci portano sino in fondo al significato umano del comunicare, del relazionarsi, del creare linguaggi strumenti e legami . Una pedagogia dei media richiede infatti una migrazione consapevole degli educatori da collocare all’interno dell’emergenza educativa nei nuovi sistemi della tecnologia”.

I cambiamenti indotti dai nuovi media, e dai social network in particolare, che sono il più significativo fenomeno di trasformazione della società, portano i giovani e gli adulti a non considerare il web come un luogo in cui vi sono soggetti e contesti che possono caratterizzarsi come una reale fonte di rischio e di pericolo.
“Se i vecchi erano individui isolati, i nuovi sono più connessi socialmente. Se il lavoro dei vecchi consumatori era silenzioso e invisibile, quello dei nuovi è rumoroso e pubblico”. Domenico Infante, Segretario del comitato di presidenza dell’Aiart, cita Henry Jenkins, accademico e saggista statunitense, per mettere in primo piano la caratteristica dell’uomo d’oggi: la connessione, il contatto. La centralità dei media ridefinisce infatti i confini della nostra esperienza, di ciò che è vicino e di ciò che è lontano, di ciò che avviene adesso e di ciò che è avvenuto in passato, ridefinisce il concetto di tempo e di spazio. Uno spazio affollato e pieno di insidie.
Infante nella sua relazione afferma che, secondo studi recenti, il 68% degli utenti delle reti sociali ignora la pericolosità legate alla pubblicazione di link sospetti sulla propria bacheca. Prima i virus venivano trasmessi tramite posta elettronica, ora viaggiano sui social network.
Le probabilità di essere vittima della criminalità informatica diventano sempre più elevate, poiché oggi ci sono oltre 350.000 virus conosciuti in circolazione e il numero di minacce cresce di giorno in giorno, anzi di ora in ora. L’allarme hacker infatti non è da sottovalutare, come testimonia il video proiettato per sensibilizzare i partecipanti al Corso. È importante, dunque, conoscerne il funzionamento e imparare a utilizzare le opzioni che filtrano e bloccano i contenuti e i messaggi sospetti, ma soprattutto è necessario non divulgare le proprie informazioni personali che sempre più spesso vengono “date in pasto” alle aziende e alle società che invadono il web di pubblicità indesiderata.
I social network conoscono ormai quali sono i nostri bisogni, le nostre abitudini, i nostri stili di vita; 25 milioni di utenti, di cui una buona percentuale è rappresentata dai giovani, non vedono più la Rete come semplice piazza virtuale per fare nuove amicizie o scambiare opinioni, bensì come un vero e proprio luogo di ritrovo “fisico e reale”, in cui confidarsi ed esprimersi sino in fondo.
I social network consentono di entrare nella vita degli altri e permettono agli altri di entrare nella propria. Si chatta quotidianamente per il bisogno di conoscere e farsi conoscere stringendo un’amicizia che corre il rischio, però, di essere superficiale, di essere semplice comunicazione di sé con esibizionismo, di essere voyerismo. Ma la relazione umana non è un gioco e richiede tempo, conoscenza diretta ed un contatto nella realtà. L’ idea di fondo dei social network è proprio quella di addomesticare il web e restringerlo ai propri bisogni, ma purtroppo sono proprio gli utenti che vengono “utilizzati” per ottenere informazioni e captare tendenze, idee e stili di vita.
Facebook o Twitter non sono di certo associazioni filantropiche, e la pubblicità al loro interno indica che si tratta di società che mirano a creare profitti, utilizzando gli utenti, le loro vite, le loro passioni.
Nell’ultimo decennio è dunque cambiato il ruolo dell’individuo e del comunicatore nella galassia della Rete, e il modo in cui l’informazione e la cultura vengono fruite. Niente e nessuno però può sorvegliare bambini e ragazzi on-line con la stessa attenzione e reattività dei genitori.

“Oggi c’è bisogno di lavorare per ricreare un’alleanza educativa; vediamo troppa conflittualità fra i soggetti che ricoprono ruoli così importanti”. Secondo Mons. Luigi Moretti, Arcivescovo di Salerno, Campagna, Acierno, in apertura della seconda giornata del Corso: “E’ necessario che non si crei confusione nei ragazzi, fra ciò che viene costruito nelle parrocchie, a scuola e in famiglia, ridefinendo i compiti, le responsabilità e le priorità. E’ impensabile fare educazione senza tener conto che oggi una convergenza educativa diviene essenziale. Nel passato si viveva in un mondo con valori ed esperienze condivise, oggi tutto questo è svanito. Le famiglie devono volersi mettere insieme per vivere le potenzialità e la missione che gli è propria, per ridiventare soggetto e protagonista nella nostra società. Una famiglia che educa alla vita, educa alla libertà, in una realtà in cui in molti cercano di manipolare, di influenzare le coscienze. Aiutare il prossimo per metterlo in condizione di scegliere vuol dire condividere le esperienze per crescere, in una missione da non vivere come hobby ma come responsabilità che tocca tutti, nessuno escluso.”

Vi sono troppe ambiguità nei contesti comunicativi ed educativi e che vanno affrontate con chiarezza per il Prof. Pino Acocella, che insegna etica sociale all’Università Federico II di Napoli. “Oggi c’è una accezione che consente di dialogare a distanza grazie alle nuove tecnologie e inoltre persiste e si consolida l’apparente eguaglianza creata dal mondo dal comunicazione, per cui le vicende dei protagonisti dei reality televisivi entrano a far parte delle nostre vite e diventano familiari, vicine. Ogni rappresentazione, oggi, purchè portata in Tv diventa credibile, e non riusciamo più a distinguerla.” Internet diventa la piazza, il luogo in cui avvengono gli incontri, in cui ognuno si illude di sapere, di conoscere, a prescindere dall’argomento. Tutto ciò è del tutto illusorio, la comunità virtuale si pone come l’unica vera, reale.”

Sia i social network, dunque, che i mass media tradizionali come la Tv, cercano di donare una immagine reale della vita, trasformando la rappresentazione di una parte della realtà in verità assolute, alla portata di tutti. E proprio come in ogni grande manovra di marketing che si rispetti, il tutto parte dal monitoraggio dell’audience e dei suoi desideri. La nostra tv dunque abbonda di “trappole” che attraggono l’attenzione, che tengono incollati allo schermo milioni di utenti. Da anni i telespettatori sono abituati, anzi assuefatti, alle immagini provocanti e distorte del corpo femminile nella dilagante e volgare offerta televisiva. “Negli altri Paesi europei – come afferma nel suo intervento la dott.ssa Elisa Manna, responsabile delle politiche culturali del Censis e vicepresidente del Comitato Media e Minori - il sistema normativo è differente dal nostro. C’è un senso della dignità femminile per cui il corpo della donna non viene strumentalizzato.”

La relazione su questo interessante tema - introdotta dall’avv. Cettina Infante, presidente provinciale dell’Aiart di Salerno - e basata su una ricerca condotta dal Censis a livello europeo, fa emergere come, in molti Stati, vi siano leggi che vietino espressamente modalità di rappresentare la donna negativamente, o addirittura vengano fatte campagne di sensibilizzazione per i minori, nei media, per il rispetto e l’uguaglianza fra uomini e donne, senza stereotipi e pregiudizi”.

Ma i media sono disposti a confrontarsi proprio con i minori? Gli educatori hanno a cuore la formazione dei bambini, il rispetto delle loro persone o lasciano prevalere le logiche di mercato? L’occasione per riflettere all’interno del Corso su questi temi è stata offerta nella “tavola rotonda” sul rapporto tra media e minori. Il dibattito – moderato dal giornalista dott. Francesco Antonio Grana,  – ha visto la partecipazione dell’on. Roberto Napoli, commissario dell’Agcom e di Giuseppe Antonelli e Domenico Infante dell’Aiart. Dalle riflessioni e dagli interventi dei partecipanti è emerso che è necessaria un’alleanza tra le tradizionali agenzie educative e i centri di produzione mediatica, nel segno della corresponsabilità. “Chi può aiutare i giovani a capire che la vita è diversa da quella rappresentata mediaticamente?” con questa domanda l’On. Roberto Napoli ha lanciato la discussione, affermando che i dati dell’Agcom sulle ore di fruizione di Internet e Tv da parte dei minori sono giunte verso “picchi” da allarme rosso.
Non sono, quindi, prima i media che devono produrre e poi domandare se quanto prodotto è educativo o meno; non possono essere solo le Tv a mettere un avviso che quanto prodotto ha bisogno di essere “mediato” dalla presenza dell’adulto, ma sono la famiglia e la scuola che devono richiedere la disponibilità a produrre spazi per favorire “l’incontro fra i giovani” e il sano intrattenimento.

Ultimo aggiornamento (Mercoledì 22 Giugno 2011 08:51)

 
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